DAVIDE MONACO
Cronache di Isernia
di fine secolo XIX
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PRESENTAZIONE DELL'OPERA
Questo frammento di storia d’Isernia, gli ultimi 15 anni del XIX secolo, viene proposto attraverso la rilettura degli articoli di giornali locali pubblicati all’epoca. Si narra di situazioni e vicende accadute in quello stesso ambiente urbano da noi vissuto ai giorni odierni di cui dimentichiamo essere stato lo spazio vitale di tante altre persone vissute prima di noi, uomini e donne che hanno lavorato, tribolato, amato e riso tra quelle stesse pietre che casualmente tocchiamo o su cui spensieratamente ci sediamo.
La particolarità di un giornale è che gli articoli raccontano l’accaduto con dovizia di particolari. Dopo quasi un secolo e mezzo, la lettura di quegli articoli riporta in auge storie ormai dimenticate che tornano ad essere lette non più per informare sugli accadimenti ma per testimoniarli.
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Tanti sono i fatti, importanti per la città, succedutisi in quegli anni: la posa della prima pietra del ponte Cardarelli dove, a causa di disaccordi, non tutte le autorità parteciparono, oppure le difficoltà incontrate dall’Amministrazione comunale nel costruire il primo acquedotto cittadino o nella realizzazione di uno dei primi impianti elettrici di illuminazione pubblica del Regno. Attirò l'interesse nazionale la visita di S.A.R. il Conte di Torino, Vittorio Emanuele Savoia-d'Aosta nel Luglio del 1892, come anche il processo alla Banca Popolare Cooperativa d’Isernia che travolse molti notabili della città. Sono tanti gli importanti avvenimenti, ormai caduti nel dimenticatoio, rievocati in questo testo proprio perché rappresentano le origini della storia moderna della nostra città. Molti sono i personaggi che all'epoca costituivano la parte dirigente cittadina, dimenticati dalle generazioni successive così come ciò che hanno realizzato per il bene collettivo.
Certo la città di fine XIX secolo non è proprio la stessa di inizio XXI secolo. All’epoca Isernia finiva al "Pozzo" alla Fiera, un "paesone sperso per la campagna" che costituiva solo un decimo dell'attuale estenzione urbana, senza dimenticare che, purtroppo, quella piccola comunità è passata sotto il tragico maglio degli eventi bellici dell’ultima guerra mondiale che hanno stravolto, oltre la vita dei cittadini, anche l’antica “forma urbis”.
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La città di fine XIX secolo si identificava in quello che attualmente chiamiamo “centro storico” e, anche se con qualche eccezione, possiamo ripercorrere quelle vecchie strade, che all’epoca pullulavano di gente e di attività commerciali, purtroppo nel silenzio assoluto dell’abbandono ma consapevoli dell’enorme mole di storia di cui sono permeate e custodi.
Chi ha un po’ di fantasia e conosce bene la città, riuscirà ad estrarre da questo libro sensazioni uniche tali da riportarlo indietro nel tempo, e vivere quegli avvenimenti come se fosse stato realmente presente. Il libro si legge come un romanzo, anche se di fatto è un testo di storia cittadina.
(Nel riquadro, uno stralcio dei mappali dell'epoca presenti nel libro, disegnati dall'autore con note ed appunti).
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INTRODUZIONE
Le Cronache di fine secolo XIX sono un compendio di avvenimenti, verificatisi tra gli anni 1885 e la fine del secolo, che evidenziano come gli accadimenti susseguitisi abbiano trasformato in così breve tempo un paesone di provincia, con una economia prettamente agricola, in una cittadina a vocazione industriale. Almeno a quei tempi le potenzialità per crescere erano evidenti e le premesse c’erano tutte, ad iniziare da un meccanismo finanziario capace di elargire risorse a favore dello sviluppo economico del territorio, ma anche persone capaci di ideare ed avviare progetti industriali complessi mediante nuove tecnologie, oltre a risorse naturali in grado di fornire energia per il funzionamento di ingranaggi e macchine industriali, ed infine infrastrutture per supportare lo sviluppo imprenditoriale della nascente nuova realtà lavorativa isernina.
L’indotto commerciale a supporto delle nuove attività economiche si sviluppò fin da subito, con le rivendite di materiale edile, le aperture di cave di argilla ed inerti, marmisti, fabbri e falegnami, empori dove era possibile reperire molte delle sostanze chimiche necessarie nei processi lavorativi industriali. Si consolidò, espandendosi, la rete di servizi con l’apertura di nuovi alberghi e ristoranti, caffè e pasticcerie, nonché negozi di alimentari con merce proveniente dall’estero ma anche calzaturifici, sartorie, e poi barbieri etc.
Sicuramente furono le infrastrutture a fornire l’impulso maggiore allo sviluppo di questa nascente nuova realtà economica cittadina, con la costruzione della rete ferroviaria prima ed il potenziamento della rete stradale poi, con la realizzazione di tante e tali opere d’arte come ponti, viadotti e gallerie da meravigliare l’Italia intera.
Tanto fermento economico era dovuto sia alla posizione della città d’Isernia sul territorio, luogo di passaggio obbligato per raggiungere altre destinazioni, ma anche alla classe dirigente cittadina che, sebbene non lasciasse mai di vista l’andamento dei propri affari, guardava al vantaggio (con un filo di scetticismo ma non certo preoccupata) che le nuove tecnologie potessero apportare allo sviluppo della città, anche meravigliando i cittadini che amministravano.
Questo problema era già stato evidenziato da alcuni imprenditori arrivati ad Isernia con tante idee innovative per creare le basi di promettenti attività economiche: “Chi poi dai proprietari locali si aspettasse qualche iniziativa industriale, si ingannerebbe da solo, poiché pretenderebbe da essi un'occupazione diversa da quella abituale, propria, alla quale si sono affezionati con illimitata fiducia. Questa occupazione, per la classe ricca d’Isernia, altro non è che la direzione dei propri beni…”.
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Su una popolazione di 9.500 abitanti, la media borghesia di impiegati e professionisti era rappresentata da uno scarso 15% degli isernini mentre il resto era impegnato nel settore lavorativo dell’agricoltura e dell’allevamento. Non esisteva il fenomeno del latifondismo a causa della limitata estensione delle proprietà. Le terre attorno alla città appartenevano a diverse famiglie che le affittavano ricavandone una rendita annuale. Non tutti i lavoratori della terra avevano le capacità economiche per diventare mezzadri e la maggior parte lavorava come bracciante.
I contadini d’Isernia non si arricchivano ma, di certo, non facevano la fame. Anche i più poveri trovavano sempre qualche lavoretto da fare, specialmente in inverno, grazie alla bontà dei possidenti.
La coltivazione delle terre permetteva di ricavare il necessario per poter vivere dignitosamente e molti contadini avevano anche gli animali da cui ricavavano un ulteriore introito economico. La lana e le pelli, il latte, i formaggi e tant’altro era venduto al minuto oppure portato ai mercati settimanali ed alle fiere stagionali.
Le pelli, in particolar modo, venivano lavorate in maniera sbrigativa solo per poter essere poi vendute a conciatori campani o della bassa ciociaria. Le lamentele degli isernini contro lo sgradevole odore delle pelli in essiccazione all’interno di locali terreni del centro cittadino furono talmente tante che il Consiglio Comunale dovette prendere provvedimenti drastici e limitare questo procedimento in località esterne alla cinta muraria cittadina.
Ciò che limitò fortemente lo sviluppo dell’economia agricola fu quindi lo scarso possesso di terre da parte dei contadini che dovevano chiederla in affitto ai possidenti. In questo modo non avvenivano progressi in fatto di coltivazioni e la produzione rispettava solo le quantità prefissate all’atto della semina, in modo da poter fornire la rendita per il proprietario del terreno e il giusto guadagno per il mezzadro e la sua famiglia. L’amministrazione delle rendite era quindi la prima occupazione per la classe benestante locale e la maggior parte del patrimonio economico delle famiglie agiate isernine aveva proprio questa origine.
Oltre alle terre, le rendite venivano ricavate anche dall’affitto degli immobili cittadini, in prevalenza ceduti a uffici pubblici, per lo più interi palazzi, ma anche fondaci con affaccio sulla strada principale trasformati in uffici.
Gran parte dei cittadini d’Isernia viveva in affitto in case ed appartamenti e, tranne per le famiglie agiate, la manutenzione non veniva quasi mai effettuata a causa della piccolezza della rendita che se ne ricavava. Non c’erano bagni in casa e solo con un’ordinanza municipale venne ordinato ai proprietari di costruirne almeno uno per ogni unità abitativa (cosa che avvenne a rilento).
La rendita delle proprietà era veramente qualcosa da gestire con molta oculatezza e da difendere strenuamente. Alcuni possidenti crearono ingenti fortune dalla gestione delle rendite tanto da fondare e finanziare la maggiore banca cittadina a cui si rivolgevano imprenditori e piccoli industriali, ma anche agricoltori e allevatori, per sovvenzionare le proprie attività.
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Quindi ad Isernia, all’epoca delle “Cronache”, era presente ed operante un’economia borghese che riuscì ad identificarsi come il principale motore trainante per tutte le attività lavorative.
Il problema sorse quando a guidare questa “new economy” isernina venne meno l’unica persona capace di farla progredire, il “Pater Patriae”, colui che aveva avuto sempre a cuore gli interessi della città spesso a scapito dei suoi. Non era un grande politico, sicuramente era un ottimo avvocato, ma Alessandro Delfini era soprattutto un buon amministratore della “Res Pubblica”. Era riuscito a traghettare la città dalle infide acque paludose post borboniche dove si era impantanata, alla realtà del nuovo stato italiano senza provocare altri scossoni dopo gli infausti avvenimenti dell’Ottobre 1860. Sindaco d’Isernia nel 1864, venne poi eletto in Consiglio Provinciale e più tardi si scontrò con Antonio Cardarelli per il seggio alla camera dei Deputati. Insieme a Eduardo Scarselli e ad altri pochi e stretti amici, riuscì a far crescere socialmente ed economicamente la città tanto da guadagnarsi l’ammirazione di tutta la Provincia, anche scontrandosi con quel notabilato cittadino di cui faceva parte che, volendo o nolendo, fu costretto ad avvallare molte sue scelte ed a vedere nella sua persona una risorsa più che un ostacolo allo sviluppo dei propri interessi.
Alessandro Delfini riusciva a capire i problemi ed a vedere le soluzioni, ed alla sua morte, avvenuta a soli 56 anni nel 1892, accaddero una serie di avvenimenti che, coordinati malamente da quel notabilato ignorante che aveva sempre tenuto a freno, compromisero la credibilità della classe dirigente cittadina dell’epoca.
Se fosse rimasto in vita, l’avv. Delfini avrebbe sicuramente impedito lo scandalo che subì l’unico importante istituto bancario d’Isernia, con il conseguente lento declino che condusse la banca ad operare più come semplice salvadanaio che come organo di sviluppo locale.
Tale conseguenza si ripercorse su quelle attività industriali che avevano iniziato a funzionare grazie ai crediti elargiti dalla banca, frenando così drasticamente la nuova economia cittadina.
Con i cantieri edili chiusi a causa della fine dei lavori delle nuove infrastrutture, con una classe politica liberale intenta solo a mantenere la propria egemonia, con la fuga di quei pochi imprenditori che avevano creduto in Isernia quale incubatrice per le loro idee innovatrici, la città si ritrovò amministrata, al margine del nuovo secolo, da persone che cercavano solo di galleggiare in quello stagno economico in cui la città era finita.
Non più nuove idee per un progresso industriale, non più impegni per un duraturo sviluppo lavorativo ma solo il mantenimento delle posizioni economiche conquistate. Quelle poche attività che riuscivano a finanziarsi con i proventi del commercio fecero la differenza. Piccole fabbriche di mattoni e pavimenti, di concerie, tintorie, saponifici, ma anche quei falegnami, quei fabbri e quegli elettricisti che avevano lavorato per le imprese delle grandi infrastrutture che introdussero nuove tecnologie, riuscirono a mantenere il numero di operai impiegato ed ormai specializzato in quelle attività. Quindi il seme dell’industria aveva attecchito anche se la pianta era ancora piccolina. Non solo contadini ed allevatori ma anche manodopera specializzata nelle nuove lavorazioni.
Sul finire del secolo qualcuno intuì che forse il futuro d’Isernia stava sull’altopiano, sull’ampia pianura dove era stata costruita la stazione ferroviaria, dove potevano sorgere nuovi immobili più grandi e più ariosi, con strade larghe e dritte. Bisognava regolare questo sviluppo urbanistico con un Piano Regolatore che però stentava ad arrivare. Quei possidenti ignoranti, avversati dai pochi illuminati, cercarono di frenare quanto più possibile questa corsa verso nuove opportunità economiche che, secondo la loro mentalità, avrebbero giovato a qualcun altro andando a loro discapito. I terreni sull’altopiano non erano di loro proprietà se non quelli limitrofi all’area cittadina, verso la Fiera, che rischiavano espropri per favorire la costruzione sia di edifici pubblici che di “case per il popolo” immaginate dagli uomini del novello spirito socialista che pian piano iniziarono ad occupare gli scranni più alti della politica, scontrandosi puntualmente con i “liberali moderati” che vedevano erodere sempre più l’egemonia politica conquistata in tanti anni di battaglie elettorali.
La città della fine del secolo era dunque in balia sia di mentalità conservatrici che di forze progressiste. Le prime tendevano al “gattopardismo”, cioè cambiare quel poco che serviva per non soccombere, mentre le seconde favorivano l’avanzare di nuove idee nell’ambito sociale ed economico, mettendo in discussione tutto ciò che era discutibile. I "liberali moderati" cercarono di mantenere la città ad un livello sociale adeguato al resto del Regno senza lasciarsi coinvolgere in scelte politiche che potevano anche lievemente intaccare i propri interessi ma si scontrarono con le giovani leve della borghesia emergente che riuscirono ad allontanare, anche se marginalmente, le vecchie mentalità dall’amministrazione della città. Parteciparono alla conduzione della “cosa pubblica”, trovando soluzioni con un approccio diverso ai problemi e rendendo partecipe la cittadinanza delle scelte fatte attraverso il dialogo e l’informazione, ambedue avversate dai vecchi tromboni. Riuscirono a trovare nuove risorse, professionali e culturali, che migliorarono il “welfare” cittadino.
Saranno loro a condurre Isernia verso i nuovi orizzonti del XX secolo.
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Cronache d'Isernia di fine secolo XIX - Davide Monaco
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Il cacciatore di briganti - La prima vicenda investigativa in ambito privato di Massimiliano Viti, capitano dei R. Carabinieri collocato a riposo per raggiunti limiti di età, raccontata seguendo articoli giornalistici di cronache locali. Un avvincente romanzo "noir" ambientato nei salotti buoni della città tra il fruscio della seta delle imponenti vesti femminili e le marsine dei galantuomini di una cittadina di provincia nel meridione del Regno d'Italia.
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L'insidia del Nibbio - Il secondo episodio dei racconti del Capitano Viti. Impegnato a garantire la sicurezza di un nobile sabaudo in visita alla città, dovrà fronteggiare una vecchia conoscenza delle lotte contro il brigantaggio post-unitario affrontando una sinistra minaccia, tanto spaventosa quanto incombente.
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Il fabbricante di stufette - Il terzo episodio delle storie del Capitano Viti vede l'arguto investigatore districarsi tra sciagurati eventi che, nel modo in cui si palesarono, rasentavano la razionalità. Troppe cose non quadravano e solo il caso indirizzò le indagini verso l'agognata verità.
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Il saluto dell'anello - Sottrarsi a Napoli ad un tranello dei Calderari e incontrare l'amico Tancredi non posssono considerarsi una coincidenza in una giornata particolarmente tesa. Il capitano Viti conosce ormai bene dove conducono le lusinghe di un dirigente del Ministero dell'Interno del nuovo Regno sabaudo, e Tancredi sa quali leve azionare per scuotere la coscienza di un vecchio carabiniere. Si troveranno insieme qualche giorno dopo, ad inseguire tra le campagne molisane don Nico Mancusi, il loro nemico di sempre, meno risoluto del solito ma determinato nel sostenere la propria lealtà al trono gigliato.
Questa volta don Nico sarà foriero di una notizia sconvolgente per Viti, tanto da fargli credere di aver avuto dalla vita ancora un'altra opportunità.
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- Cronache d'Isernia d'inizio secolo XX -
Il secondo volume delle "Cronache d'Isernia" dove continua
la narrazione delle vicende accadute nella cittadina
pentra nel primo lustro del secolo XX
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Davide Monaco - Michele Tuono
RACCONTI MOLISANI D'APPENDICE
1848 - 1884
Un'antologia di racconti pubblicati
sui giornali periodici dell'epoca,
che rivolge fasci di luce su un Molise
inedito e nascosto, quasi segreto.
Ed è una luce nuova.
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Un elenco di libelli pubblicati all'epoca dai protagonisti delle cruente lotte a favore dell'unità italiana che testimoniano quanto sia stata ardua l'idea di raccogliere sotto un unico vessillo la popolazione della penisola. Si tratta di una piccola collana Amazon sul "Risorgimento nel Molise", per ora limitata a pochi testi ma destinata a crescere nel tempo.
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