Il saluto dell'anello - Davide Monaco

 

Anello gigliato

 

DAVIDE MONACO



Il saluto dell'anello


Un altro episodio de "I racconti del Capitano Viti" che prende spunto dalle "Cronache d'Isernia", una raccolta di articoli giornalistici di fine secolo XIX dove vengono riportate le vicende accadute a quel tempo in città.
Ambientati tra gli eleganti salotti della borghesia molisana, gli avvincenti racconti del capitano Viti basano la propria trama su fatti realmente accaduti. Dalla realtà riportata nelle pagine di quegli antichi giornali alla finzione narrativa per rivivere, in parte, avvenimenti ormai dimenticati.


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Il saluto dell'anello





IL ROMANZO

La storia è ambientata tra le fertili campagne molisane, nelle terre dove nasce il fiume Biferno, all'inizio dell'estate del 1893. Il capitano Viti era convalescente per riprendersi da una caduta da cavallo nella tenuta del notaio Pecori al Tiegno, un'amena località vicino Isernia, dove nelle ultime calde giornate primaverili aveva accettato, di buon grado, l'invito ad uscire per una passeggiata, montando un corsiero dal carattere docile, come gli avevano assicurato. Il salto di un ramo caduto sul tracciato boschivo lo aveva sbilanciato facendolo ruzzolare a terra cozzando, per fortuna in maniera lieve, contro un masso arrotondato nascosto tra il fogliame. Nei giorni successivi, le frequenti emicranee lo avevano convinto a consultare il dottor Antonio Amati a Napoli, luminare della medicina e professore universitario, nonchè Senatore del Regno. Durante la visita medica, Amati aveva assicurato che la conseguenza della caduta erano proprio quei frequenti mal di testa che, con il riassorbimento dell'ematoma, sarebbero con il tempo scomparsi. Bisognava avere solo un po' di pazienza. All'uscita dallo studio medico, Viti si accorse di essere seguito da due individui che lo controllavano a distanza. L'esperienza maturata nell'inseguire briganti sugli Appennini, quand'era un giovane ufficiale dei R. Carabinieri, l'aveva allertato facendogli notare lo strano comportamento di quegli uomini. Il susseguirsi degli avvenimenti tramutò una tranquilla giornata napoletana in una tormentosa fuga verso la salvezza dove il fortunato incontro con l'amico Amedeo Tancredi, dirigente del Servizio Informativo Sabaudo - una costola del Ministero degli Interni - si rivelò provvidenziale. Ma fu davvero un fatto casuale incontrare a Napoli il suo vecchio amico?
Come il capitano avrà modo di costatare nel susseguio della storia, quell'incontro celava un fine recondito: convincerlo a partecipare ad una caccia all'uomo tra le terre del Sannio, un'operazione "poco ufficiale" organizzata dal S.I.S. per catturare Nicodemo Mancusi, il Gran Principe della setta dei Calderari. Per il capitano Viti si trattava di un altro tentativo per ridurre in galera il suo nemico di sempre, rincorso per anni tra le montagne dell'Abruzzo e del Molise senza alcun risultato. Viti era ormai un ufficiale a riposo avanti con l'età e non aveva nessuna intenzione di continuare ad inseguire un uomo che, anche se in passato aveva impersonato il male assoluto, raffigurava ormai solo un brutto ricordo nella sua memoria. Ma Tancredi conosceva le leve da manovrare di quella memoria e le utilizzò per rinverdire i ricordi del capitano tanto da convincerlo a partecipare all'impresa.




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Il romanzo è in via di pubblicazione
(uscirà entro Natale 2024)
presso Edizioni EFESTO
Via Corrado Segre 11 - 00146 - ROMA
Tel: 06 5593548 - E-mail: info@edizioniefesto.it
- ISBN 0000000000000 -






 

 
BREVI CENNI SULL'AMBIENTAZIONE
LE CONDIZIONI POLITICHE E SOCIALI


La trama del romanzo si sviluppa attorno ai contrasti mai sopiti tra la politica del goveno sabaudo e le rimostranze del meridione della penisola ad allinearsi alle idee di intrusione socio-economiche praticate, più che da Roma, da Torino.
A portare avanti le proteste contro un modo di governare troppo sbilanciato verso il settentrione, trovarono il consenso del popolo meridionale, in particolare dell'aristocrazia di quelle terre, molti personaggi che, soffiando moderatamente sul fuoco dell'insoddisfazione popolare, cercarono di sostenere le rivendicazioni per un benessere sociale parificato in tutto il Regno. La stessa ex sovrana Maria Sophia di Wittelsbach, moglie di Francesco II Borbone, appoggiava apertamente le idee di rinnovamento della politica dell'epoca, in modo particolare quei movimenti che incoraggiavano il ritorno alla politica attiva della Casa Reale borbonica. Tra i diversi movimenti meridionalisti si annidiarono i Calderari, una setta segreta tra le più oltranziste nel sostenre il ritorno dei borboni nel quadro politico nazionale.
La storia raccontata nel romanzo "Il saluto dell'anello" si relaziona con i romanzi precedenti della stessa collana in una sorta di prosecuzione delle vicende narrate, in particolare col romanzo "L'insidia del Nibbio".
Per meglio inquadrare gli avvenimenti descritti, sono riportati alcuni stralci da romanzi precedenti che aiutano il lettore a comprendere l'ambiente politico e sociale in cui matura la storia e si svolge la trama.

Tratto da "L'insidia del Nibbio" (Pubblicato da Edizioni Efesto - 2022 Roma), il dialogo tra filoborbonici e rappresentanti del governo sabaudo, svoltosi in una trattoria nella città d'Isernia nel Luglio 1892 tra commensali in tavoli diversi, evidenzia il contrasto ancora esistente in quella parte del Regno tra le antiche fazioni politiche che si erano affrontate trent'anni prima, durante le lotte per l'Unità d'Italia:

«All’epoca, anche qui a Isernia, famiglie imparentate tra loro si sono trovate su fronti opposti. Così come è successo nei piani alti della nobiltà, è accaduto anche ai piani bassi della popolazione…» rispose il cavaliere Petrani, non senza una punta di severità.
«Non conosco molto di quanto è successo in città al tempo del Plebiscito, ma mi hanno raccontato cose assurde e irripetibili» disse il tenente Colucci.
«Quelli che sbagliarono furono tutti processati e tutti hanno pagato per le loro colpe» rispose l’altro commensale che Viti riconobbe come l’avvocato Corrado Giordano, amico stretto del cavalier Delenis. Poi terminò la frase con: «Se di colpe possiamo parlare…»
«Vennero uccise persone solo per le loro idee liberali» rispose Viti.
«Vennero uccise persone che cercavano di rovesciare il potere costituito» rispose Delenis.
«Non c’era più un potere costituito! Il regime borbonico era ormai decaduto a causa della fuga da Napoli di Francesco II per Gaeta: ciò equivaleva a una abdicazione» affermò Tancredi.
«Il governo aveva solo cambiato sede, risparmiando a Napoli gli orrori della guerra. Altrimenti che significato ebbero le battaglie del Volturno e di Capua combattute in seguito, in cui impegnarono il proprio valore i migliori ufficiali di Re Francesco? Ciò testimoniava e legittimava il trono e il governo tenuti in piedi anche nell’estremo rifugio di Gaeta! Sempre da Gaeta, furono diffusi i proclami di Francesco per incitare il popolo alla resistenza e alla lotta» disse Giordano.
«Proclami che rimasero inascoltati! Il popolo napoletano acclamò Garibaldi al suo arrivo in città come un novello “Cesare”. La defezione dei siciliani dal Regno segnò l’inizio della caduta, ma furono proprio i napoletani a dare lo scossone finale al trono borbonico, che poi rappresentò la vera causa della fuga a Gaeta!» rispose Viti.
«Come nel gioco degli scacchi, il Re si arrocca per difendersi meglio e, di certo, la mossa non viene scambiata per una fuga. In molte città del meridione la popolazione insorse contro i militi di Garibaldi. Anche gli isernini combatterono una guerra non dichiarata tra due eserciti: in quei frangenti, di fronte al nemico che avanza, ogni uomo si trasforma in soldato con o senza divisa militare, con o senza bando di guerra» affermò Gennaro Petrani.
«Non ci fu bando di guerra perché il regime borbonico era già decaduto quando Isernia si sollevò contro le avanguardie garibaldine che entrarono in città. Bisognava solo prendere atto di ciò che stava avvenendo nel resto d’Italia» rispose ancora Viti.
«Bastava proclamare un mutamento di governo, bastava abbattere uno stemma e sostituirlo con un altro per far cadere una dinastia e per qualificare illegittima la reazione di un popolo che esecrava tali novità?» chiese l’avvocato Giordano.
«Mi sembra che in città, nel nome del passato regime, non si volle difendere un’idea, di governo o politica che fosse, ma si volle salvaguardare lo status sociale e economico di quelle famiglie che con la dinastia borbonica avevano intrecciato interessi di ogni tipo in ogni tempo. Basti vedere quante uccisioni, violenze, saccheggi e ruberie furono effettuate durante i giorni della reazione. Questi furono reati comuni, alcuni perpetuati per giorni, che dovevano essere perseguiti in blocco come atti criminali, perché certe azioni, prima di costituire un’offesa al codice di uno stato, sono un oltraggio al codice morale stampato indelebilmente nel cuore di ogni uomo. Andavano represse e punite da quegli stessi uomini che capeggiarono la difesa della monarchia decaduta» rispose schiettamente Emilio Giancola.
«Ma in quei giorni d’Ottobre quale era il governo legittimo? I responsabili della reazione erano patrioti o briganti? In seguito essi furono ritenuti colpevoli in nome del codice piemontese, ma dove era questo codice durante il conflitto? Chi lo conosceva? Chi poteva imporlo in quei giorni in cui si combatteva proprio per sapere a chi spettasse il diritto di emendare leggi?» chiese l’avvocato Giordano.
«Con questo volete giustificare le atrocità commesse da una massa di scalmanati contro i giovani garibaldini arrivati in città per occuparla in nome dell’Italia unita? Volete giustificare le catture e le lapidazioni susseguite alla prigionia, le teste mozzate e infisse sulle picche?» chiese il colonnello Tancredi.
«Assolutamente no! La situazione non fu adeguatamente controllata da chi aveva il potere e il dovere di farlo, ma resta comunque il fatto che in città si combatté per difendere il governo legittimo di Francesco II di Borbone».
«È inutile continuare questi discorsi perché torniamo di nuovo allo stesso punto iniziale. In questo Regno d’Italia, creato da una dinastia di sovrani illuminati, ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni e le proprie idee personali, senza incorrere in limitazioni della libertà individuale, basta che non si attenti al potere costituito sancito dal Plebiscito del popolo» affermò Tancredi che si alzò per mescere nei bicchieri l’ultimo vino rimasto nella bottiglia.

Il dialogo che segue è tratto da "Il fabbricante di stufette" (Pubblicato da Edizioni Efesto - 2023 Roma) e descrive il rapporto tra il capitano Viti e don Nicodemo Mancusi:

«Ti interessano così tanto i Calderari?» chiese quasi a sfottò il colonnello.
«Mi interessano perché Nico Mancusi è uno dei loro “Gran Principi”!»
«Ah! Il tuo vecchio nemico brigante! Vi siete mai incontrati per parlare tranquillamente, visto che vi conoscete da trent’anni?»
«Se ci incontrassimo, uno dei due finirebbe morto!»
Tancredi sorrise conoscendo la determinazione dell’amico nel contrastare in passato il fenomeno del brigantaggio.
Con grande meraviglia, Viti aveva saputo che i vecchi briganti continuavano ancora la lotta contro coloro che reputavano invasori, utilizzando metodi più sofisticati e elaborati.
All’epoca dell’impresa dei Mille per l’unità dell’Italia, quei soldati e ufficiali delle milizie borboniche che non aderirono al nuovo governo sabaudo, infoltirono le schiere dei briganti sulle montagne dell’Appennino meridionale, combattendo duramente contro l’imponente campagna organizzata dal nuovo Regno per debellare le rivolte nel sud della penisola. Molti uomini furono uccisi, imprigionati o costretti all’esilio o alla clandestinità. Proprio questi ultimi, tra cui Nicodemo Mancusi detto il Nibbio, trovarono nella vecchia setta segreta dei Calderari un rifugio sicuro, nascondendosi in essa e rifondandola con il sostegno di nuove schiere di giovani adepti e nuovi obiettivi da raggiungere. I vecchi briganti avevano trovato armi più acconce e più moderne per continuare a proteggere e favorire la deposta corona borbonica, cercando di riportare in vita il Regno duosiciliano, qual risorta Fenice novella, per mezzo di una “nuova restaurazione” alle porte del XX secolo.
Scontrandosi nuovamente contro i soliti nemici, Viti aveva intuito che il suo vecchio lavoro di “cacciatore di briganti” non era ancora terminato e, malgrado fosse a riposo come militare, come ex Carabiniere continuava a svolgere, suo malgrado, quel lavoro che reputava essersi completato con la cattura degli ultimi briganti agli inizi degli anni ’70. Ciò che stava accadendo e gli avvenimenti in cui si era imbattuto in tempi recenti, gli avevano fatto capire che quelle persone catturate all’epoca non erano gli ultimi briganti.









IMMAGINI D'EPOCA DEI LUOGHI
DOVE È AMBIENTATO IL ROMANZO





La piazza del Gesù Nuovo a Napoli con la monumentale statua dell'Immacolata Concezione con dietro la facciata di palazzo Pandola.
Dall'altra parte della piazza, alle spalle dell'osservatore, c'è il complesso del monastero di Santa Chiara.




Isernia Piazza Cattedrale

La piazza della Cattedrale a Isernia come si presentava alla fine dell'800.




Bojano

Una panoramica di Bojano a fine '800.
A sinistra il campanile della cattedrale di san Bartolomeo, a destra lo spiazzo dov'era ubicata la Stazione di Posta, lungo via dei Pentri.




Vinchiaturo

Vinchiaturo (CB) - Sulla destra, in posizione elevata rispetto al centro storico del paese, si nota
il palazzo Iacampo (Jaccano nel romanzo), con la chiesa di Santa Croce, in un'immagine degli anni '30 del secolo scorso.






Ciò che rimane oggi del complesso monasteriale di Santa Maria di Monteverde, tra Vichiaturo e San Giuliano.






San Giuliano del Sannio 1960. In fondo al corso si notano il palazzo marchesale e dietro la chiesa di San Nicola.
Fino alla fine dell'800, esisteva di fianco al palazzo una porta che permetteva l'accesso al centro storico.






San Giuliano del Sannio 1969. Il palazzo marchesale sistemato col terrazzamento in pietra.
In origine l'accesso al palazzo era permesso da un semplice terrapieno.






San Giuliano del Sannio. I fucilieri di San Nicola.





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La prima vicenda investigativa in ambito privato di Massimiliano Viti, capitano dei R. Carabinieri collocato a riposo per raggiunti limiti di età, raccontata seguendo articoli giornalistici di cronache locali. Un avvincente romanzo "noir" ambientato nei salotti buoni della città tra il fruscio della seta delle imponenti vesti femminili e le marsine dei galantuomini di una cittadina di provincia nel meridione del Regno d'Italia.









L'insidia del Nibbio - Il secondo episodio dei racconti del Capitano Viti. Impegnato a garantire la sicurezza di un nobile sabaudo in visita alla città, dovrà fronteggiare una vecchia conoscenza delle lotte contro il brigantaggio post-unitario affrontando una sinistra minaccia, tanto spaventosa quanto incombente.










Il fabbricante di stufette - Il terzo episodio delle storie del Capitano Viti vede l'arguto investigatore districarsi tra sciagurati eventi che, nel modo in cui si palesarono, rasentavano la razionalità. Troppe cose non quadravano e solo il caso indirizzò le indagini verso l'agognata verità.




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- Cronache d'Isernia di fine secolo XIX -
Un frammento di storia d’Isernia, gli ultimi 15 anni del
XIX secolo, viene proposto attraverso la rilettura degli
articoli di giornali locali pubblicati all’epoca.

Cronache XIX



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- Cronache d'Isernia d'inizio secolo XX -
Il secondo volume delle "Cronache d'Isernia" dove continua
la narrazione delle vicende accadute nella cittadina
pentra nel primo lustro del secolo XX


Cronache XIX



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Davide Monaco - Michele Tuono

RACCONTI MOLISANI D'APPENDICE

1848 - 1884

Un'antologia dei migliori racconti pubblicati
sui giornali periodici dell'epoca,
che rivolge fasci di luce su un Molise
inedito e nascosto, quasi segreto.
Ed è una luce nuova.








Un elenco di libelli pubblicati all'epoca dai protagonisti delle cruente lotte a favore dell'unità italiana che testimoniano quanto sia stata ardua l'idea di raccogliere sotto un unico vessillo la popolazione della penisola. Si tratta di una piccola collana Amazon sul "Risorgimento nel Molise", per ora limitata a pochi testi ma destinata a crescere nel tempo.



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Per chi volesse contattare l'autore, di seguito
è riportato l'indirizzo digitale (E-Mail):
davide.monaco@tin.it



Il saluto dell'anello - Davide Monaco